lunedì 28 febbraio 2011

INTERMEZZO. ITALIOTI 1: AIRPORT

Chi ha i miei anni si ricorderà certamente i film “Airport”. Ce ne furono ben quattro. Il primo era con Burt Lancaster e Dean Martin e risale al 1970. La trama era sempre basata su un aereo in difficoltà che doveva atterrare in condizioni più o meno di fortuna. Il successo della serie fu tale che agli inizi degli anni Ottanta pensarono di farne una parodia: “Airplane” (“L’aereo più pazzo del mondo”). A distanza di quarant’anni quello che raccontavano i film è diventato parzialmente realtà. La serie potrebbe essere oggi proseguita con il quinto episodio dal titolo: “Fiumicino”. 
Scrivo da Vevey (Svizzera romanda) dove oggi inauguro una mostra incentrata sugli oggetti egizi del compianto Giuseppe Sinopoli. Oggi pomeriggio devo prendere un volo Ginevra – Roma e sono assolutamente terrorizzato. Cosa mi aspetta al mio arrivo? Quale oscura minaccia dovrò affrontare al momento dello sbarco? Riuscirò a riabbracciare i miei? 
Baso queste mie affermazioni sui miei due più recenti passaggi a Fiumicino. Mercoledì scorso vi sono tornato da Torino, sabato vi sono partito per Ginevra. 

(Mercoledì) A Caselle, grazie alla frustrazione di una non tanto gentile signorina della Blu-Express sono stato costretto a imbarcare il mio bagaglio a mano che, una volta tolto il computer, superava i cinque chili concessi di be seicento grammi. Potrete ben capire la mia depressione quando ho visto imbarcarsi manager con trolley, computer e ventiquattr’ore. Perché loro sì e io no? Ma tant’è. Volo tranquillo. Arrivo con mezz’ora di ritardo. Il recupero bagagli è al nastro dieci. Apro il mio giallo e mi dispongo ad aspettare. Passa un quarto d’ora: d’accordo. Continuo a leggere. Ne passa un altro: ma insomma! Leggiucchio buttando di continuo l’occhio sullo schermo. Trascorre un terzo quarto d’ora. Non riesco più a leggere. Gli altri passeggeri cominciano a inquietarsi. Disperate e distrutte sono le due signore con figli che, ormai, sono irrefrenabili. Dopo dieci minuti alcuni chiedono spiegazioni all’ufficio informazioni. Gli dicono di pazientare altri dieci minuti. Poi si sente: “Ma quella è la mia valigia!”. Lo dice ad alta voce una signora che si dirige a gran passi verso il nastro nove. In effetti i nostri bagagli sono là, che girano da chissà quanto tempo. Prima di distaccarmi dal nastro dieci, a cui in fondo mi ero un po’ affezionato, do un’occhiata allo schermo. Continua a esserci scritto che le nostre valigie arriveranno al nastro dieci. 
Raggiungo a passo spedito la stazione dei treni. Sono quasi le nove. Naturalmente le biglietterie sono chiuse, naturalmente i distributori automatici non funzionano e, naturalmente, c’è una lunga coda al botteghino che vende i biglietti con sovrapprezzo minimo. Il treno è già in stazione e parte tra due minuti. Mi metto in fila al botteghino e poi ci ripenso. Mi precipito dentro al treno che, naturalmente, parte con quasi dieci minuti di ritardo. Avrei potuto fare il biglietto. Spero che ci siano altri passeggeri nelle mie stessi condizioni e confido nella comprensione del controllore. Siamo ormai a metà percorso quando dal vagone accanto comincia a venire un gran baccano. Una controllora ben piazzata se la sta prendendo con due giovani di evidente origine est-europea. Dice loro che è stufa di vederli sempre viaggiare su questo treno senza biglietto. Gli urla di scendere. Questi replicano canzonatori. Li prende letteralmente per i panni del petto e li sbatte fuori. Quando sopraggiunge un suo collega per darle manforte, tutto è ormai finito e la controllora fa ceno di ripartire. Le porte si richiudono. 
Con me ci sono due altri passeggeri. La controllora si dirige verso di noi. Ci guardiamo l’un l’altro scambiandoci occhiate nel miglior stile “triello di Sergio Leone”. Capisco che anche loro non hanno il biglietto. Leggo un minimo di panico nel signore più distante da me e più vicino alla controllora che intanto è sopraggiunta. “Non ho il biglietto” dice lui quasi con un fil di voce. La controllora lo guarda furente. “Neanch’io” dice il secondo passeggero con voce tremula. “Le macchinette erano rotte” aggiungo sommessamente. Momento di altissima tensione poi lo sguardo della controllora si scioglie e passa dal furore a una profonda stanchezza mista a rassegnazione. Ci fa i biglietti senza neanche farci pagare il sovrapprezzo che ci avrebbe richiesto il botteghino. 

(Sabato). Bella giornata. Il volo per Ginevra è al Terminal 1, il più lontano. Un tapis-roulant è completamente divelto perché in riparazione, il secondo è fermo, il terzo funziona, il quarto non c’è più da un po’ di anni. Scendo le scale mobili e la porta a vetri è chiusa. Risalgo le scale mobili e mi trovo davanti a un enorme cartello, intorno al quale c’è un mucchio di cartacce, che dice che gli ascensori non funzionano perché li stanno rinnovando. Deve essere così da un po’ di tempo, visto che un senzatetto ha deciso di trasformare il pianerottolo in sua dimora. E ora? Non ci sono altre vie di accesso al Terminal 1 a meno di non fare un lungo giro. Guardo nella tromba dell’ascensore e vedo che un ascensore, nonostante il cartello, si muove. Un signore che entra insieme a me dice: “Bel biglietto da visita per l’Italia” concretizzando i miei pensieri. Mi dirigo al check-in: una coda interminabile. Provo con le macchinette per il check-in automatico. Il primo tentativo non ha successo. Con la carta Ulisse Alitalia sì. Meno male. Ora ho il problema della valigia da spedire. Non pare che ci siano postazioni dedicate. Ovverosia, ci sono, ma sono state trasformate in banchi di check-in normali e anche qui le code sono interminabili. Mi avvicino al banco per Ulisse e Freccia Alata e chiedo alla signorina se mi può imbarcare la valigia. Le domando perché c’è tutta questa confusione. Mi risponde laconica: “E’ sabato.”. Come sarebbe a dire? Tutti i sabati è così e nessuno ha pensato a una soluzione? Ma non è finita. Soltanto due varchi per i controlli sono aperti. Qui la confusione è totale. Mi ci vorrà un buon quarto d’ora, ma con la carta d’imbarco in mano e il bagaglio spedito non temo che mi lascino a terra. Un gruppo di persone, evidentemente nord-europee, fendono la folla spintonando tutti e ricevendo in cambio appellativi che meglio che non capiscono. Proprio in quel momento un’addetta Alitalia apre il nastro della fila accanto a me e ci invita a passare per il varco riservato agli equipaggi. L’evidente nord-europeo, qualche persona più avanti, mi guarda con odio. Non lo degno neanche di uno sguardo. Raggiungo l’aereo. L’imbarco è già cominciato. Arrivo a Ginevra e recupero i bagagli in dieci minuti nonostante l’aeroporto sia strapieno. 

Aforisma. Meglio l’aeroporto del Cairo durante una rivoluzione che quello di Fiumicino in tempo di pace. C’è bisogno di aggiungere altro?

4 commenti:

Unknown ha detto...

Il fronte si apre ulteriormente. Siamo passati dal furto al Museo del Cairo al primo capitolo di un romanzo amoroso, quindi un altro primo capitolo, quello di cui dovrebbe trattare il blog,il concorso.... Ora ci fai la cronaca delle avventure aeroportuali...che evidentemente ti hanno lasciato l'amaro in bocca.
A proposito, ma sai che l'Egyptair da un paio di settimane ti addebita 50 Euro se hai un secondo collo da spedire ? Indipendentemente dal peso. Pare che sia nei regolamenti di quasi tutte le compagnie, salvo per voli sull'America, ma in cinquant'anni che volo nessuno aveva mai addebitato nulla per un secondo bagaglio.Tempi duri ci aspettano !!! E' arrivata la Sylvie, che ti saluta... e anche qualche turista. Ieri mattina a KARNAK hanno fatto 500 tkts...Baci da Tebe Ovest... Nonnabella

Anonimo ha detto...

Ma cosa sucede...ancora non si sa veramente nulla

Maria ha detto...

Fra un po pure Io vorrei raccontare una grossa vicenda che ha tanto da vedere con l'egittologia, e quelli eruditi che sono in giro qua e là

Francesco Tiradritti ha detto...

Cara Isabella,

grazie delle notizie da Luxor. Non vedo l'ora di essere nuovamente laggiù. Prendi Alitalia. Io mi ci trovo sempre bene, anche se Fiumicino è un incubo, come avrai letto... Baci

Cara Maria,

non ho intenzione di fare di questo blog un luogo chiuso. Mi scriva al mio indirizzo francesco.tiradritti@harwa.it e mi racconti. Sono curioso e mi interessa raccogliere quante più testimonianze possibile su fatti e misfatti dell'accademia italiana.

Cordiali saluti

francesco