giovedì 25 agosto 2011

HATSHEPSUT E LE NOCI FATALI

Avevo deciso di prendermi una vacanza e tornare a scrivere questo blog a settembre, ma la notizia che circola in questi giorni sul web e che è stata ripresa con grande enfasi anche da “Repubblica” (“Bella da morire. 3.500 anni fa la regina d' Egitto uccisa da una crema” di Andrea Tarquini, 22 agosto 2011, p. 30) è troppo ghiotta per farla passare sotto silenzio. 
Sul sito dell’Università di Bonn il 19 agosto u.s. è stato pubblicato un comunicato stampa nel quale si afferma che da due anni alcuni ricercatori dell’Istituto di Farmacologia di Bonn, sotto la direzione del Dottor Helmut Wiedefeld, stanno analizzando i resti di una sostanza contenuti in una fiala sulla quale compare il nome di intronizzazione di Hatshepsut, Maat-ka-ra. I risultati hanno portato al rilevamento di tracce di olio di noce di cocco e di noce moscata e due agenti cancerogeni: catrame e benzo(a)pirene. 

Michael Höveler-Müller (a sinistra) e il Dottor Helmut Wiedefeld (a destra) in contemplazione della fiala mortifera
“Sapevamo da tempo che Hatshepsut aveva il cancro ed è possibile che ne sia morta.” è la conclusione di Michael Höveler-Müller curatore della raccolta egizia dell’Università Bonn “Ora sappiamo anche come lo ha contratto.”. Ah… Davvero?!? Sapevamo che Hatshepsut era morta di cancro? Deve essermi sfuggito qualcosa. Innanzitutto il ritrovamento della mummia della regina. Ero rimasto alla storia dell’identificazione del molare perduto. Una teoria un po' campata in aria che lascia il tempo che trova e sulla quale non mi pare valga la pena tornare sopra. A parte questo non mi sembra che vi siano certezze nell’attribuzione di una qualsiasi spoglia mortale a Hatshesput. 
Ma torniamo alla nostra fiala. Secondo il Dottor Siedfeld non poteva contenere profumo. Avrebbe  individuato un tasso molto alto di  acidi grassi insaturi che, a quanto pare, sono utilizzati nella cura delle malattie della pelle. Da qui l'idea che potesse trattarsi di una crema. E qui interviene l’egittologo (Höveler-Müller) ad aggiungere il pezzo mancante alla soluzione del puzzle: “è noto che nella famiglia di Hatshepsut c’erano altri casi di malattia della pelle”. 
Non soltanto mi sono perso l’identificazione della mummia di Hatshepsut, ma anche questa notizia. Da chi aveva ereditato la malattia della pelle Hatshepsut? Dal padre Thutmosi I, la cui mummia è stata identificata con molte incertezze o dalla madre Ahmose, il cui corpo non mi risulta sia mai stato trovato? Non sono un esperto e mi viene  da domandarmi come sia possibile rilevare una qualsiasi malattia della pelle sulle mummie.  
Il mistero si infittisce. Su queste basi, un po’ precarie anzichenò, Andrea Tarquini ha imbastito il suo articolo in cui scopro che Hatshepsut morì nella tragica ricerca della bellezza perfetta. Il valore morale dello scritto del Tarquini è innegabile: “guai a fare l' impossibile per essere belli a tutti i costi.” ammonisce l’inviato da Berlino di Repubblica. Tralascio il resto del suo articolo. Chi ne ha voglia di leggerlo tutto può cercarlo nell'archivio di Repubblica.it. 

Tutto ciò è molto bello, molto accattivante, molto misterioso. Tante sono purtroppo le cose che non tornano e che, una volta prese in considerazione, minano gravemente tutto il ragionamento soprastante. Elenchiamole: 
  1. la forma del vaso è inusuale per un prodotto egiziano della XVIII dinastia; 
  2. il colore della superficie esterna è quantomeno insolito; 
  3. il cartiglio con il nome di intronizzazione è sempre preceduto dal titolo nsw-bity quando vi è abbastanza spazio. Qui ce n’è abbastanza; 
  4.  l’elemento orizzontale che chiude il cartiglio in basso è troppo spesso; 
  5. il geroglifico del sole è troppo piccolo e non posizionato correttamente; 
  6. il segno delle braccia sollevate assomiglia molto a quelli che si trovano nei repertori di geroglifici e non a quelli reali.
La fiala fatale

Sei incongruenze in un oggetto di cui non è nota  la provenienza sono un po’ troppe e suscitano non pochi dubbi sulla sua autenticità. 
Ad avvalorare quest'ipotesi c’è il fatto che né la noce di cocco, né tanto meno la noce moscata appaiono essere state conosciute nell’Egitto antico. E se per la prima si potrebbe ipotizzare un’importazione dall’Africa equatoriale, più difficile pensare a una simile opportunità per la seconda, il cui unico centro di produzione era localizzato nelle Isole Banda in Indonesia fino ad almeno tutto il XIX secolo. 
Anche l’idea che nella piccola fiala vi fossero conservati una crema o un balsamo appare abbastanza singolare. L’unica sostanza che si può conservare in un contenitore del genere deve essere abbastanza liquida per scivolare fuori. Altrimenti rimane tutta dentro. I ricercatori tedeschi escludono però che si trattasse   di profumo per l’alta concentrazione di materie grasse. E se, invece un’essenza? Normalmente è più grassa di un normale profumo, tanto che è necessario diluirla con l’alcool per utilizzarla.
Non sono un esperto profumiere. Queste cose le so perché, soprattutto i primi anni che andavo in Egitto, mi mi fermavo spesso nei negozietti di profumi a comprare essenze, sia ai suq di Luxor o Assuan, sia al Kham el-Khalili al Cairo. Mi ricordo che a Luxor, in alternativa alle comuni boccettine di vetro, se ne potevano acquistare alcune in falsa fayence e con i cartigli di faraoni come Ramesse II. Sono anni che non ne vedo più in giro. Forse non erano molto richieste. 
Facciamo un’ipotesi. Immaginiamoci un turista di più di cento anni fa che va in Egitto, vuole riportare come ricordo un'essenza e se la fa racchiudere in una fiala. Al ritorno la regala a una persona cara che, dopo un po' di tempo la rinchiude in un cassetto. Alla sua morte gli eredi ritrovano la fiala e, credendola antica, ne fanno dono (o la vendono) al Museo dell'Università di Bonn.  Abbastanza verosimile, no? 
E il catrame? E il benzo(a)pirene? Qui mi soccorre il mio passato di fumatore. La fiala è perfetta come elegante portacenere. Non importa se non vi sono tracce di bruciato al suo interno: le sigarette potevano essere spenta altrove. E se ulteriori analisi rivelassero invece tracce di bruciato? E’ probabile che ci sarebbe qualcuno pronto a sostenere  che Hatshepsut era un’accanita fumatrice e che quella sia stata la ragione del cancro che l'ha stroncata. Mi pare però che qualcosa del genere sia stato affermato in tempi recenti a proposito di altre mummie. E perché no? Il colore della pelle di una mummia non è molto diverso da quello delle dita ingiallite dalla nicotina dei più accaniti fumatori.