domenica 13 novembre 2011

SIC TRANSIT GLORIA MUNDI

dal Corriere della Sera di Domenica 13 novembre 2011

domenica 16 ottobre 2011

CHIUSO PER BLOG

Non ho lasciato nessun intervento su questo blog per quasi due mesi. Ho avuto altro da fare. Stavo per riprendere a scrivere quando mi è stato offerto di essere il blogger della settimana su "Faber Blog - la cultura raccontata da chi la fa"  nella pagina on-line della Cultura del Sole 24Ore. Non potevo rifiutare e così ho cominciato questa nuova esperienza. Mi trovate lì fino a sabato  22 ottobre prossimo.

Poi torno a scrivere su questo blog...

A presto

Francesco

giovedì 25 agosto 2011

HATSHEPSUT E LE NOCI FATALI

Avevo deciso di prendermi una vacanza e tornare a scrivere questo blog a settembre, ma la notizia che circola in questi giorni sul web e che è stata ripresa con grande enfasi anche da “Repubblica” (“Bella da morire. 3.500 anni fa la regina d' Egitto uccisa da una crema” di Andrea Tarquini, 22 agosto 2011, p. 30) è troppo ghiotta per farla passare sotto silenzio. 
Sul sito dell’Università di Bonn il 19 agosto u.s. è stato pubblicato un comunicato stampa nel quale si afferma che da due anni alcuni ricercatori dell’Istituto di Farmacologia di Bonn, sotto la direzione del Dottor Helmut Wiedefeld, stanno analizzando i resti di una sostanza contenuti in una fiala sulla quale compare il nome di intronizzazione di Hatshepsut, Maat-ka-ra. I risultati hanno portato al rilevamento di tracce di olio di noce di cocco e di noce moscata e due agenti cancerogeni: catrame e benzo(a)pirene. 

Michael Höveler-Müller (a sinistra) e il Dottor Helmut Wiedefeld (a destra) in contemplazione della fiala mortifera
“Sapevamo da tempo che Hatshepsut aveva il cancro ed è possibile che ne sia morta.” è la conclusione di Michael Höveler-Müller curatore della raccolta egizia dell’Università Bonn “Ora sappiamo anche come lo ha contratto.”. Ah… Davvero?!? Sapevamo che Hatshepsut era morta di cancro? Deve essermi sfuggito qualcosa. Innanzitutto il ritrovamento della mummia della regina. Ero rimasto alla storia dell’identificazione del molare perduto. Una teoria un po' campata in aria che lascia il tempo che trova e sulla quale non mi pare valga la pena tornare sopra. A parte questo non mi sembra che vi siano certezze nell’attribuzione di una qualsiasi spoglia mortale a Hatshesput. 
Ma torniamo alla nostra fiala. Secondo il Dottor Siedfeld non poteva contenere profumo. Avrebbe  individuato un tasso molto alto di  acidi grassi insaturi che, a quanto pare, sono utilizzati nella cura delle malattie della pelle. Da qui l'idea che potesse trattarsi di una crema. E qui interviene l’egittologo (Höveler-Müller) ad aggiungere il pezzo mancante alla soluzione del puzzle: “è noto che nella famiglia di Hatshepsut c’erano altri casi di malattia della pelle”. 
Non soltanto mi sono perso l’identificazione della mummia di Hatshepsut, ma anche questa notizia. Da chi aveva ereditato la malattia della pelle Hatshepsut? Dal padre Thutmosi I, la cui mummia è stata identificata con molte incertezze o dalla madre Ahmose, il cui corpo non mi risulta sia mai stato trovato? Non sono un esperto e mi viene  da domandarmi come sia possibile rilevare una qualsiasi malattia della pelle sulle mummie.  
Il mistero si infittisce. Su queste basi, un po’ precarie anzichenò, Andrea Tarquini ha imbastito il suo articolo in cui scopro che Hatshepsut morì nella tragica ricerca della bellezza perfetta. Il valore morale dello scritto del Tarquini è innegabile: “guai a fare l' impossibile per essere belli a tutti i costi.” ammonisce l’inviato da Berlino di Repubblica. Tralascio il resto del suo articolo. Chi ne ha voglia di leggerlo tutto può cercarlo nell'archivio di Repubblica.it. 

Tutto ciò è molto bello, molto accattivante, molto misterioso. Tante sono purtroppo le cose che non tornano e che, una volta prese in considerazione, minano gravemente tutto il ragionamento soprastante. Elenchiamole: 
  1. la forma del vaso è inusuale per un prodotto egiziano della XVIII dinastia; 
  2. il colore della superficie esterna è quantomeno insolito; 
  3. il cartiglio con il nome di intronizzazione è sempre preceduto dal titolo nsw-bity quando vi è abbastanza spazio. Qui ce n’è abbastanza; 
  4.  l’elemento orizzontale che chiude il cartiglio in basso è troppo spesso; 
  5. il geroglifico del sole è troppo piccolo e non posizionato correttamente; 
  6. il segno delle braccia sollevate assomiglia molto a quelli che si trovano nei repertori di geroglifici e non a quelli reali.
La fiala fatale

Sei incongruenze in un oggetto di cui non è nota  la provenienza sono un po’ troppe e suscitano non pochi dubbi sulla sua autenticità. 
Ad avvalorare quest'ipotesi c’è il fatto che né la noce di cocco, né tanto meno la noce moscata appaiono essere state conosciute nell’Egitto antico. E se per la prima si potrebbe ipotizzare un’importazione dall’Africa equatoriale, più difficile pensare a una simile opportunità per la seconda, il cui unico centro di produzione era localizzato nelle Isole Banda in Indonesia fino ad almeno tutto il XIX secolo. 
Anche l’idea che nella piccola fiala vi fossero conservati una crema o un balsamo appare abbastanza singolare. L’unica sostanza che si può conservare in un contenitore del genere deve essere abbastanza liquida per scivolare fuori. Altrimenti rimane tutta dentro. I ricercatori tedeschi escludono però che si trattasse   di profumo per l’alta concentrazione di materie grasse. E se, invece un’essenza? Normalmente è più grassa di un normale profumo, tanto che è necessario diluirla con l’alcool per utilizzarla.
Non sono un esperto profumiere. Queste cose le so perché, soprattutto i primi anni che andavo in Egitto, mi mi fermavo spesso nei negozietti di profumi a comprare essenze, sia ai suq di Luxor o Assuan, sia al Kham el-Khalili al Cairo. Mi ricordo che a Luxor, in alternativa alle comuni boccettine di vetro, se ne potevano acquistare alcune in falsa fayence e con i cartigli di faraoni come Ramesse II. Sono anni che non ne vedo più in giro. Forse non erano molto richieste. 
Facciamo un’ipotesi. Immaginiamoci un turista di più di cento anni fa che va in Egitto, vuole riportare come ricordo un'essenza e se la fa racchiudere in una fiala. Al ritorno la regala a una persona cara che, dopo un po' di tempo la rinchiude in un cassetto. Alla sua morte gli eredi ritrovano la fiala e, credendola antica, ne fanno dono (o la vendono) al Museo dell'Università di Bonn.  Abbastanza verosimile, no? 
E il catrame? E il benzo(a)pirene? Qui mi soccorre il mio passato di fumatore. La fiala è perfetta come elegante portacenere. Non importa se non vi sono tracce di bruciato al suo interno: le sigarette potevano essere spenta altrove. E se ulteriori analisi rivelassero invece tracce di bruciato? E’ probabile che ci sarebbe qualcuno pronto a sostenere  che Hatshepsut era un’accanita fumatrice e che quella sia stata la ragione del cancro che l'ha stroncata. Mi pare però che qualcosa del genere sia stato affermato in tempi recenti a proposito di altre mummie. E perché no? Il colore della pelle di una mummia non è molto diverso da quello delle dita ingiallite dalla nicotina dei più accaniti fumatori.  

lunedì 18 luglio 2011

IL RIVOLUZIONARIO RIVOLUZIONATO

Il Dottor Abdel Fattah El-banna si è guadagnato un posto nel Guinness dei primati 2011 come il ministro meno longevo della storia. Doveva giurare tra dieci minuti  (18 ora del Cairo), ma  non arriverà mai a farlo. Il primo Ministro Essam Ashraf ha cancellato la sua nomina in seguito a immediate proteste da parte di archeologi e dipendenti del Ministero di Stato della Antichità.  
Si parla già di Mohammed Abd El-Maksoud, l'attuale Direttore Generale del Consiglio Superiore delle Antichità, come possibile  ministro al posto suo. 
Chi, in prima mattinata, aveva asserito che El-banna non avrebbe resistito a lungo ha dimostrato doti altamente profetiche...

UN MURATORE PER RICOSTRUIRE IL MINISTERO DELLE ANTICHITA’

Il sit-in in corso in Midan el-Tahrir dall’8 luglio scorso ha costretto Essam Sharaf, primo ministro egiziano pro-tempore, a operare un rimpasto di governo. Quattordici ministri sono stati destituiti. Tra questi anche Zahi Hawass. La notizia si è diffusa ieri ed è ancora presto per conoscere le motivazioni di tale decisione. E’ però assai probabile che Essam Sharaf abbia deciso di accogliere davvero le istanze della piazza e di rimuovere gli uomini di governo che erano stati troppo vicini al regime di Mubarak. Zahi lo era, anche se nei mesi scorsi, in più di un’occasione (si veda, per esempio, l’intervista a The Guardian del 19 maggio), ha tentato di affermare una sua aderenza alla fede rivoluzionaria. 
Zahi sosteneva che era l’unico a essere in grado di gestire la difficile situazione post-rivoluzionaria e mi sono trovato a essere d’accordo con lui. A mio parere, anche se ci sono stati notevoli miglioramenti dal punto di vista della sicurezza, la situazione delle antichità è ancora complessa e piena di insidie. Sarebbe stato forse meglio che Zahi conducesse il ministero di Stato per le Antichità ancora per un certo periodo, almeno fino alle elezioni di settembre. In Egitto la piazza però è sovrana e ha ragione chi chiede che le riforme siano applicate sul serio. Zahi avrebbe dovuto almeno dare segni di vero ravvedimento e magari cominciare a preparare la propria successione. Non comportarsi come se dovesse rimanere per sempre. Le azioni che ha invece intrapreso all’indomani del suo reintegro non hanno dimostrato una grande differenza rispetto a quelle passate e la sua abiura del mubarakismo è apparsa a tutti, e soprattutto a Midan el-Tahrir, soltanto un goffo espediente per restare al potere. Peccato… Se fosse stato in Italia avrebbe avuto sicuramente maggiore successo e sarebbe ancora al suo posto. 
Sul canale YouTube di Youm el-Sabakh si trova un video in cui si dice che un gruppo di giovani archeologi inferociti attaccano un taxi su cui si trova Zahi. L’ex-ministro riesce a cavarsela soltanto grazie all’intervento della guardie del corpo. 
Ci sarebbe già un nuovo ministro. Le prime notizie affermano che al posto di Zahi è stato nominato il Dottor Abdel Fattah El-banna. E qui anche gli stessi egittologi assumono un’espressione un po’ stupita: “E chi è costui?”. Giustamente. Abdel Fattah El-banna non è certo un nome di spicco dell’egittologia egiziana. E’ professore associato in conservazione di edifici monumentali presso il Dipartimento di Restauro della Facoltà di Archeologia all’Università del Cairo. 

Il Dottor Abdel Fattah El-banna nella fotografia del suo profilo  Google
Un restauratore, perciò, non un archeologo e, per giunta, occupa una figura di secondo piano. Com’è allora che il suo nome è saltato fuori per una posizione così importante come quella di Ministro di Stato delle Antichità? Su internet, cercando bene e in arabo, si scopre che El-banna è autore di uno studio sull’intonaco romano, ma che è anche un vero rivoluzionario. A suo nome c’è un canale YouTube ("l'Egitto è il nostro paese ed è prezioso per noi") e un blog significativamente intitolato a Kha-em-uaset, il figlio di Ramesse II noto per la sua attività di restauro di monumenti. I contenuti, che stranamente richiedono il consenso all'accesso, sono archeologico-politici. Uno dei video è relativo a un suo intervento televisivo sulla protezione della antichità palestinesi. 

Abd El-Faath El-banna in un fermo immagine del suo intervento televisivo
El-banna è poi ricordato in The National per avere guidato Elbaradei l’anno passato nella visita di una moschea. In quell’occasione avrebbe pronunciato una frase dimostratasi profetica di lì a qualche mese: “La storia ci dimostra che il cambiamento non è irraggiungibile o lontano; dipende soltanto dalla fede e dagli sforzi dei giovani”. Al-Ahram Weekly riferisce anche che, non molto tempo fa El-banna ha guidato una protesta contro l’egittologo americano Marc Lehner. Nel 2009 la Ancient Egypt Research Associates (AERA), diretta da Lehner, ha acquistato una villa in prossimità dell’area delle piramidi dove scava ormai da anni. El-banna sosteneva che  la proprietà fosse invece di Zahi Hawass e che l’edificio era iscritto nel registro degli immobili storici. Entrambe le accuse si sono poi dimostrate infondate. 
Se le notizie sulla sua nomina risultano confermate, queste sono le (poche) premesse con le quali “Il muratore” (El-banna) prende in mano il Ministero di Stato delle Antichità. Riuscirà nell’intento di ricostruirlo? Farà come si fa con gli edifici fatiscenti e lo distruggerà fino alle fondamenta prima di innalzarlo di nuovo? Sul web serpeggiano i primi commenti e c’è già chi dice che El-banna non è destinato a durare. Alcuni colleghi (americani in prima linea) tremano.

lunedì 13 giugno 2011

ANONIMA ANONIMI

In una località imprecisata, a un’ora qualunque del giorno, un anonimo incontra un anonimo:
“Ciao, Anonimo!”
“Buongiorno, Anonimo!”
“Come stai?”
“Non te lo posso dire. E tu?”
“Mi fa piacere. Neanch’io.”
“Sono contento di saperti così.”
“A proposito… Ne ho una nuova. Ho incontrato Anonimo e sai che mi ha detto?”
“No. Cosa ti ha detto?”
“Che ha incontrato Anonimo …”
“E allora?”
“Bene. Anonimo ha detto ad Anonimo qualcosa che non ti posso ripetere.”
“Ma davvero?”
“Ti assicuro che è così.”

"In una località imprecisata, a un’ora qualunque del giorno, un anonimo incontra un anonimo..."
“Non ci posso credere …”
“E invece è proprio così. Fidati.”
“Mi fido. Non pensavo però si potesse arrivare a tanto. E’ quasi peggio di quello che ho saputo su Anonimo.”
“Chi? Anonimo?”
“No. Anonimo.”
“Ah… Volevo ben dire. Perché di Anonimo tutto si può dire fuor che qualcosa di male.”
“Infatti. Ma lasciami finire. Ho saputo che Anonimo ha fatto qualcosa che non ti posso riferire.”
“Che cosa? Ma dici davvero?”
“Ti assicuro che è così.”
“Ma che tempi … Ma sei veramente sicuro? Anonimo lo conosco bene e non lo avrei ritenuto capace…”
“E invece sì. Me lo ha confermato Anonimo.”
“Mmm …. Non diresti così se tu sapessi cosa fa Anonimo …”
“Nooo… Anche su di lui c’è qualcosa da dire?”
“E certo! Ma in che mondo vivi?”
“E che avrebbe fatto?”
“Qualcosa che preferisco non menzionare.”
“Spero tu stia scherzando…”
“Niente affatto. Me lo ha detto Anonimo.”
“Ah … Anonimo?”
“Sì. Anonimo. Perché?”
“Io con quello che dice Anonimo ci andrei cauto.”
“Ma dai!”
“Figurati che l’ho incontrato, non ti sto a dire né quando né dove né perché, e mi ha detto che tu avresti detto che io avrei detto qualcosa che non avrei mai dovuto dire…”
“E gli dai anche retta? Come avrei potuto dire che tu avresti detto qualcosa che non avresti mai dovuto dire?”
“Non lo so e non lo voglio sapere, però lo ha detto Anonimo e mi fido abbastanza.”
“Se è per questo proprio Anonimo va a dire in giro che non sei poi così anonimo come vorresti sembrare.”
“Questa è una calunnia bella e buona. Ci credi? E cosa sarei allora?”
“Secondo Anonimo saresti anonimo.”
“Ma questo è troppo. Ma che anonimi vanno in giro oggigiorno?”
“Non lo so. Non ci sono più gli anonimi di una volta.”
“Che rabbia. Se cito Anonimo per diffamazione, verresti in tribunale a testimoniare?”
“Se posso rilasciare una testimonianza anonima, molto volentieri.”

Dedicato a Eugène Ionesco (1912 - 1994)

mercoledì 8 giugno 2011

UNA TELEFONATA ANONIMA 1

23 maggio scorso. Roma. Interno notte

Il telefono squilla. Mi alzo insonnolito e lo raggiungo a tentoni.
“Pronto, pronto…”.
Dalla cornetta soltanto il rumore dell’energia statica.
“Pronto, pronto …”.
Nulla. Riattacco e mi dirigo verso il letto.
“Chi era?” mi chiede Olivia.
“Nessuno. Forse han…”.
Il telefono torna a squillare. Anche stavolta soltanto il nulla. Accendo l’abat-jour e guardo la sveglia sul comodino: le quattro e venti. E chi può chiamare a quest’ora?
“Chi era?” torna a chiedermi Olivia.
“Non lo so. Magari qualcuno che ha sbagliato numero… In Egitto succede spesso anche a quest’ora.”
“Qui non era mai successo. E Leonida?”
“Sta dormendo.”
“Il ciuccio ce l’ha?”
“No. Glielo rimetto. Ecco. Mi tengo il telefono accanto. Se dovessero richiamare …Buonanotte.”
“Buonanotte …”


23 maggio scorso. Roma. Interno giorno

Sono le 7.10. Sto facendo colazione con Maria che sta per andare a scuola. Ridiamo e scherziamo come d’abitudine. Il telefono squilla. Corro a prenderlo prima che la suoneria svegli Olivia e Leonida che dormono ancora.
“Pronto. Pronto…”
Nulla.
“Chi era?” mi chiede Maria.
“Boh?”.
Torniamo a parlare e scherzare. Passa poco. Il telefono torna a squillare. Rispondo subito.
“Leonardo?” una voce maschile.
“Guardi che ha sbagliato numero…” rispondo.
“Non fare quello che non capisce, Leonardo…” la voce ha una lieve calata romana. Il tono è canzonatorio. Capisco che si sta riferendo a me con il nome del personaggio di “L’amore all’ombra della cima”. Ieri ho appena inserito nel blog la seconda puntata.
“Ah…”
“Togli subito quelle schifezze su Roberta. Altrimenti peggio per te.” Roberta è, naturalmente, il personaggio femminile de “L’amore all’ombra della cima”.
“Va bene” difficile non essere accondiscendenti alle 7.15 di mattina mentre si fa colazione e si ride e si scherza.
“Bravo. Ci vediamo presto.”
Click.

Rimango interdetto e scioccato. Sono stato minacciato.
Riporto l’episodio senza commentarlo, almeno per il momento. Voglio che chi segue questo blog mediti su quanto accaduto. A presto…

martedì 17 maggio 2011

UNA LETTERA ANONIMA FIRMATA 3: LA RIUNIONE

(Leggi la storia dall’inizio

Nella convocazione per la riunione del comitato scientifico e di presidenza dell’IICE avevo notato un’anomalia. Al punto 2 era infatti scritto “Rinnovo delle cariche”. Nulla di strano. Se non fosse che, a mio avviso, sarebbe stato necessario almeno conoscere i nomi dei candidati. In caso di assenza, poi, dovrebbe essere data la possibilità di delegare qualcuno di fiducia. Un minimo di democrazia, che diamine… E, se per caso, in un momento di follia, io avessi voluto presentarmi alla carica di presidente dell’IICE? 
Così ho scritto un altro messaggio in cui ponevo in evidenza questa piccola anomalia. Concludevo dicendo che, per un’associazione che si voleva proporre come rappresentanza a livello nazionale, un minimo di organizzazione e chiarezza non avrebbe guastato. Se proprio non era possibile averle, proponevo di trasformare l’IICE in BICE (Bocciofila Italiana per la Cultura Egizia). In un’associazione paesana non c’è bisogno di tante formalità. Tutti si conoscono e basta una chiacchierata e un bicchiere di vino per decidere chi sarà il prossimo presidente in un’atmosfera di quasi perfetta democrazia. Ma in un’associazione nazionale? 
Il mio messaggio, stavolta, incredibile ma vero, ha avuto due risposte. Una di plauso e una in cui mi si diceva amichevolmente di farla finita. 
Con queste premesse non mi sembra ci sia bisogno di descrivere il mio stato d’animo, il 15 aprile u.s., con il quale mi sono messo in viaggio per Firenze dove avrebbe avuto svolgimento la riunione. 
Sono arrivato all’Istituto Papirologico “Vitelli” quando molti erano già arrivati e stavano parlottando in vari punti della sala dove si sarebbe tenuta la riunione. La mia entrata ha creato un leggero fremito (almeno questo). Ho cercato di salutare tutti quelli che conoscevo. Il professor Pernigotti ha fatto finta di non vedermi. Non c’è da stupirsi: fa parte del galateo egittologico. In uno dei prossimi interventi gli renderò piena giustizia e spiegherò per quali ragioni (sacrosantissime) non aveva voglia di rivolgermi la parola. 
Ci siamo seduti e la riunione è iniziata con il saluto del Professor Alessandro Roccati, presidente dimissionario con carica decaduta già da qualche mese. Ha detto di avere portato a termine il suo mandato con modestia (e gli eventi da lui organizzati sembrerebbero dargli ragione) e tra grandi difficoltà. A un certo punto ha citato recenti critiche rivoltegli in modo “cialtronesco” da persona falsa e tendenziosa. A quel punto mi sono sentito in dovere di alzare la mano per togliere agli astanti ogni dubbio sulla persona cui facesse riferimento Roccati. 
Il discorso di addio è continuato su questo tenore. Alla fine non mi è stato molto chiaro cosa avesse davvero fatto Roccati durante il suo mandato, deve però essermi distratto quando lo diceva. Il secondo punto all’ordine del giorno era il rinnovo delle cariche che è stato deciso di non rinnovare. Dopo avere detto “questo non lo scriviamo nel verbale” si è poi passati a decidere chi avrebbe potuto essere il prossimo presidente. Alla fine si è deciso di procedere a vere elezioni nel corso del prossimo colloquio di dicembre. Nel frattempo Roccati continuerà, suo malgrado (poverino!) a essere presidente e Alberton, sebbene abbia dato dimissioni irrevocabili a fungere da segretario (la mia pena per lui è infinita). Ho avuto il sospetto (è però solo un’impressione, si badi bene...) che, non avessi scritto il mio messaggio dalla riunione di aprile, si sarebbe usciti con nuove cariche. 
Ho aspettato le varie ed eventuali per potere parlare. Sono stato zittito variamente e varie volte. Inutili tutti i miei tentativi di intavolare una discussione su problemi di etica e morale. Sono riuscito soltanto ad avere una risposta sulla lettera anonima proveniente dall’indirizzo dell’IICE. Roccati mi ha fornito una spiegazione. 

Tiradritti “Mi piacerebbe almeno sapere chi ha scritto il messaggio di risposta al mio sul Museo di Torino.” 
Roccati: “Ma non è chiaro?”. 
Tiradritti: “No. E’ anonimo.” 
Roccati: “Non è anonimo.” 
Tiradritti: “Come ‘Non è anonimo’? E la firma?” 
Roccati: “Non è anonimo. Non serve la firma.” 
Tiradritti: “Ah…” 

A questo punto ho desistito. Mi sono un po’ perso. Ho capito soltanto che un messaggio o una lettera anonimi possono essere firmati anche senza nessuna firma. Basta dichiarare che sono firmati. Poi se non lo sono, mica è così fondamentale. 
Stanco e molto più che contrariato mi sono infine alzato e ho detto che davo le mie dimissioni. Mentre uscivo Roccati ha sussurrato al mio indirizzo “Tanto le aveva già date…”. 
Prima di uscire ho gettato un ultimo sguardo all’assemblea seduta intorno al tavolo: arzilli pensionandi e pensionati e pochi altri. Mi si è riempito il cuore di sconforto. L’egittologia italiana è in mano a questa congrega? La cultura italiana è in mano a simili congreghe? Sono riuscito a fugare la profonda tristezza che si era impadronita del mio animo soltanto quando, sceso dal treno, mi sono messo a guidare e ho trovato conforto nell’abbraccio della mia terra. Fuori era una giornata magnifica, di quelle che ti mettono la voglia di vivere. E meno male… 

L’episodio mi ha suscitato una profonda riflessione. A presto

giovedì 12 maggio 2011

UNA LETTERA ANONIMA FIRMATA 2: IL MESSAGGIO

(Prosegue dal 29 aprile)

Lo scorso marzo sono venuto a sapere che il comitato scientifico della Fondazione del Museo Egizio di Torino aveva stabilito di non riunirsi più fino a quando il presidente, Professor Alessandro Roccati, non avesse presentato le proprie dimissioni. La decisione era stata presa all’unanimità. Era stato ritenuto inappropriato che il Professor Roccati non perdesse mai occasione di scagliarsi contro il Museo Egizio di Torino. Mi sembrava una presa di posizione corretta e, come membro del comitato dì scientifico dell’IICE, ho deciso di allinearmici. Mi sembrava anche giusto chiedere le sue dimissioni da presidente dell’IICE, visto che, più di una volta, aveva utilizzato questa istituzione per portare i suoi attacchi al Museo di Torino. In realtà, in questo secondo caso non ve ne sarebbe stato bisogno. Essendo stato eletto nel 2007, Roccati non avrebbe dovuto più essere in carica per scadenza dei termini. Siamo però in Italia e la tendenza a mettere radici è diffusa ovunque. Perché l’egittologia dovrebbe fare eccezione? Nel mio messaggio, indirizzato a tutti i membri del comitato scientifico dell’IICE, affermavo che, qualora il professor Roccati non si fosse dimesso, lo avrei fatto io. 
Nei giorni successivi ho pensato che un morbo feroce e virulento avesse sterminato gli egittologi italiani e che io, quasi un miracolato, fossi l’unico superstite. Nessuna risposta è infatti giunta dal ciberspazio. Una simile non-reazione ere più che prevedibile. Per un attimo, però, ho pensato davvero di essere rimasto l’unico egittologo italiano sulla terra. La scoperta che i colleghi e coloro che si pretendono tali erano tutti vivi mi ha sollevato l’animo. Mi ha anche costretto ad arrendermi all’evidenza: o mi considerano un rompiscatole (più che un’ipotesi, una certezza) o non gliene importa nulla a nessuno di quello che succede nel mondo egittologico italiano. E questo un atteggiamento molto italiano, pure troppo purtroppo. 
Dopo qualche giorno dall’indirizzo elettronico della segreteria dell’IICE arriva però un messaggio indirizzato alla direzione e alla presidenza del Museo Egizio di Torino e alla Compagnia di San Paolo. Perché coinvolgere anche questa fondazione bancaria? Credo semplicemente perché sponsorizza i miei scavi e si sia così inteso mettermi in cattiva luce nei loro confronti. 
Il laconico testo è il seguente: 

“Gentilissimi, 

si invia in allegato .pdf comunicato ufficiale da parte dell'Istituto Italiano per la Civiltà Egizia a seguito della diffusione di notizie non veritieri sulle attività dell'Istituto. Cordialmente”. 

Proprio così. Senza firma. 
Aprendo l’allegato .pdf scopro che questo era stato scritto “a seguito di voci false e tendenziose messe in circolazione da persona non informata dei fatti o in malafede”. Il contenuto era relativo a una rimostranza contenuta nel mio messaggio. Una delle accuse che rivolgevo a Roccati era infatti quella di non avere mai coinvolto la Dottoressa Eleni Vassilika, direttrice del Museo Egizio di Torino, nelle attività dell’IICE. Dato che quest’organismo si professa rappresentante dell’egittologia italiana, perché il suo presidente deve decidere unilateralmente di escluderne la persona che dirige la più importante collezione egizia del paese? Il .pdf non era firmato. 
Più che chiarificare, l’anonimo messaggio e l’ancora più anonimo allegato avevano avuto l’effetto di sollevare una serie di misteri. Quali erano le “voci false e tendenziose”? Chi era la “persona non informata dei fatti o in malafede” che le aveva diffuse? Chi era l’autore dell’anonimo .pdf? Chi aveva scritto l’anonimo messaggio? 
La prossima volta che incontro Giacobbo glieli sottopongo. Magari riesce a costruirci una puntata di “Voyager”… 
Non potevo vivere troppo a lungo con questi dubbi. Meno male che, guarda caso, proprio nello stesso giorno in cui era stato inviato l’anonimo messaggio e dal medesimo indirizzo, mi era arrivato anche l’invito alla riunione del consiglio scientifico dell’IICE fissata per il 15 aprile. 
Avrei dovuto aspettare poco meno di un mese per cercare di ottenere una risposta agli inquietanti interrogativi di cui sopra. Tanto alla riunione dovevo andarci per rassegnare le mie dimissioni. Di una cosa ero infatti più che sicuro: Roccati non avrebbe mai mollato nulla. 

P.S. La convocazione per la riunione era firmata da Alessandro Roccati e cominciava, come l’anonimo messaggio, con la forma un po’ desueta e poco educata di “Gentilissimi”. Mi è venuto in mente che Roccati potesse essere anche l’autore dell’anonimo messaggio e dell’anonimo .pdf. Avrò avuto torto o ragione?

venerdì 29 aprile 2011

UNA LETTERA ANONIMA FIRMATA 1: L’IICE

Oggi comincio a raccontare un recente episodio che, pur non avendo nulla a che vedere con il concorso che ho perso, è sintomatico della situazione in cui si trova a versare l’egittologia (e l’accademia più in generale) italiana. 
Per farlo devo però prima parlare di un’istituzione che quest’anno festeggia i suoi venticinque anni di attività: l’’Istituto Italiano per la Civiltà Egizia (IICE) che è stato fondato nel 1986. Ero presente alle prime riunioni e aderii con entusiasmo a questa iniziativa. Sono sempre stato favorevole all’associazionismo e mi piaceva l’idea di un’organizzazione che riunisse tutti gli egittologi italiani come già accadeva da tempo in altre nazioni del mondo. 
La creazione dell’IICE fu fortemente voluta anche da Bruno Alberton, funzionario di un istituto o di una fondazione bancaria torinese (Scusate la mia incertezza, ma scrivo basandomi sui ricordi e, sinceramente, non ho più precisa memoria di alcuni particolari di tutta la vicenda). Non essendo Alberton un vero appassionato di egittologia mi è sempre sfuggito il perché abbia deciso di lanciarsi in questa impresa. Qualche anno più tardi mi fu detto che lo avrebbe fatto per cercare di intraprendere una carriera politica. Non so se sia vero o no. Fatto sta che la creazione dell’IICE non gli deve essere giovata a molto visto che non mi sembra sia mai riuscito a ottenere una qualche carica. O forse sì? Dovrei chiederglielo, ma non è che importi poi molto ai fini di quello che intendo raccontare. Fatto sta che Alberton è segretario dell’IICE dal momento della sua fondazione. Ha dato le dimissioni irrevocabili nel dicembre scorso, ma continua a essere segretario. La ragione sembrerebbe essere la mancanza di una vera alternativa. Talvolta cercando si trova. 

(a sinistra) Bruno Alberton, segretario dell'IICE nel 2007; (a destra) Bruno Alberton, ancora segretario  dell'IICE nel 2107

Alberton si diede subito da fare per reperire i finanziamenti necessari a far funzionare l’IICE. Riuscì a ottenere una sorta di sponsorizzazione della Best Tours S.p.A: i membri dell’IICE ottennero camere all’Hotel Marriott del Cairo in occasione del congresso internazionale di egittologia del 1988 a prezzi più che concorrenziali. In cambio alcuni giovani egittologi dovevano accompagnare viaggi a tema che la Best Tours aveva intenzione di organizzare. Ero appena laureato e fui il primo o il secondo a partecipare a questa iniziativa. L’argomento che mi trovai ad affrontare era “il turismo nell’antico Egitto”. Mi ci volle un bel po’ di tempo per prepararmi. Per il lavoro richiesto il compenso era abbastanza risicato. Accettai perché ero convinto che così l’IICE avrebbe ricevuto in cambio un po’ di finanziamenti. Mi consolai con la visita di siti come Assuan e Abu Simbel dove non ero mai stato. Il viaggio si rivelò un’esperienza fantastica. Al di sopra di ogni mia più rosea aspettativa. Nonostante fosse (o forse proprio perché lo era) la classica crociera lungo il Nilo. 
Non so com’è, ma l’accordo con la Best Tours non durò a lungo. 
Nel 1991 l’IICE fu strumentale per l’organizzazione del Congresso Internazionale di Egittologia a Torino. Il merito del successo che ebbe va però al Professor Sergio Donadoni, alla Dottoressa Anna Maria Roveri Donadoni e al Professor Silvio Curto che si occuparono della complessa organizzazione. Fu un congresso strepitoso e, sebbene siano trascorsi vent’anni, molti colleghi lo ricordano ancora con piacere. 
Con queste premesse l’IICE sembrava destinato a un glorioso futuro. Con il tempo si è invece andato spegnendo a poco a poco. La partecipazione corale dei primi anni è venuta sempre più a mancare e l’IICE è stato spesso strumentalizzato. E’ più volte servito, per esempio, nel tracciare una linea di divisione tra “vera” e “falsa” egittologia. Non c’è bisogno di dire che i possessori della “verità” erano soltanto alcuni soci dell’IICE. Peccato che, più volte, in seno all’organizzazione siano state accolte persone che di egittologico avevano soltanto il fatto di occuparsi di reperti egiziani o sudanesi. E sul loro modo di accostarsi alle antichità ci sarebbe molto da ridire. 
Negli anni l’IICE ha anche organizzato numerosi convegni nazionali. Alcuni molto validi dal punto di vista scientifico, altri più equiparabili a show televisivi. Mi vengono in mente “La corrida” di Corrado per i debuttanti allo sbaraglio e “Ci vediamo in TV” di Paolo Limiti per l’età dei conferenzieri. 
Al di là di tutto questo, l’IICE rimarrà sempre scolpito nella mia memoria per due memorabili momenti conviviali, la cui organizzazione (quando non pagavamo noi) è sempre stata improntata a regole ispirate alla più schietta parsimoniosa generosità piemontese. Voglio raccontare questi due momenti perché ne vale proprio la pena. Comincerò con una leggendaria cena in un ristorante messicano di Torino. 
Non eravamo in molti e Alberton aveva prenotato una lunga tavola in un angolo del locale. Una volta seduti lo stesso Alberton ci comunicò che, causa ristrettezza di fondi, avremmo dovuto condividere la cena con il nostro vicino. Avete capito bene. Non sto scherzando. Ogni portata doveva bastare per due. Quando chiesi se non avessimo potuto pagarci la cena da soli Alberton mi invitò sbrigativamente a non disturbare. Ero seduto accanto a una papirologa che non avevo mai avuto il piacere di incontrare prima. Facemmo le reciproche presentazioni e mangiammo i cibi messicani che ci venivano portati nello stesso piatto. Per cavalleria lasciavo che lei terminasse la sua metà prima di consumare la mia. Per sollevare ogni legittimo dubbio dirò che ognuno aveva le proprie posate. Tentai di sdrammatizzare una situazione assurdamente paradossale intonando canzoni latino-americane con il gruppo folklorico avvicinatosi al tavolo a un certo punto della cena. Raccolsi la disapprovazione della maggior parte dei commensali. 
Avrei forse dovuto comportarmi come il Professor Sergio Bosticco (maa-kheru) a una riunione dell’IICE a Firenze. In quell’occasione fu deciso che ognuno avrebbe pagato per proprio conto. Quasi tutti si orientarono per tagliata o fiorentina (e cosa sennò?). Quando il cameriere interpellò il mitico Bosticco, restò un po’ interdetto nel sentirsi rispondere “A me porti le ossa dei signori…”. Gli sedevo proprio di fronte e, mentre lo osservavo scarnificare con gusto la montagna di ossa accumulata nel suo piatto, mi domandavo del perché della sua singolare richiesta. Me lo spiegò qualche tempo dopo il Professor Sergio Donadoni, amico di Bosticco da tempi immemorabili e ormai avvezzo a decifrare i suoi modi di fare attraverso i quali comunicava con il mondo esterno. Mi disse che Bosticco lo aveva fatto per dimostrare il suo dissenso nei confronti di quel tipo di riunioni. 

E questo, Signore e Signori, è un momento di vera egittologia italiana. Senza l’IICE e un'egittologia così il  geniale artificio della lettera anonima firmata non avrebbe mai potuto essere. Alla prossima…

lunedì 18 aprile 2011

ZAHI HAWASS: FASHION OR TUTANKHAMON VICTIM?

Mi piacerebbe proseguire con il racconto sul concorso che ho perso, ma c’è sempre qualcosa che mi spinge a rimandare. L’occasione offerta oggi da un articolo di Francesca Caferri su Repubblica (18 aprile 2011, p. 47) è, per esempio, troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. 

Nonostante lo abbia difeso e lo difenda, non sono un vero fan di Zahi Hawass. Malgrado abbia apprezzato molte delle cose che ha fatto per migliorare il Consiglio Superiore delle Antichità egiziano e sia convinto che sia la persona che può riportare un po’ d’ordine nel caos che regna attualmente tra le antichità egizie, non condivido molte sue scelte. Il suo modo di proporre i monumenti della Valle del Nilo e l’egittologia ai media mondiali, per esempio, non mi trova per nulla d’accordo. Certe volte, ma soltanto certe volte, penso che abbia ragione lui. Lui fa i soldi e io no. Poi però mi dico che a me va bene anche così. 
Se però continuano a maltrattare così Zahi mi costringeranno a diventare un suo fan sfegatato e ad aprire un gruppo su Facebook (oltre a quello in cui si chiede di salvarlo da Roberto Giacobbo) per proteggerlo da giornalisti come la Caferri. Di quest’ultima avevo letto anche altri suoi interventi sull’Egitto e il Medio Oriente e non mi era sembrata affatto una sprovveduta. 
Vediamo cosa ha scritto. Con un notevole sforzo di originalità il suo articolo odierno comincia così: “La maledizione di Tutankhamon colpisce ancora …”. E già a questo punto ho pensato seriamente che non valeva la pena di continuare la lettura. Ero però intrigato dalle fotografie e commento dell'articolo.
La Caferri passa poi a raccontare di come Zahi, per promuovere una linea di vestiti che porta il suo nome, realizzata dalla casa di moda americana Art Zulu, avrebbe permesso al fotografo James Weber di compiere nottetempo riprese tra i tesori del giovane sovrano. Peccato  si veda benissimo che l’aitante modello è in posa davanti a vetrine e oggetti esposti in “Tutankhamon and the Golden Age of the Pharaohs”. Quanto la sessione fotografica è stata fatta la mostra itinerante era a New York. Proprio in questi giorni la stanno trasferendo a Melbourne. 

Un capo della linea Zahi Hawass (si noti anche qui l'originalità). Sullo sfondo il sarcofago dorato di Tuya

L’articolo della Caferri continua con altre amenità di vario genere tutte un po’ fazioselle, come per esempio, arrivare a insinuare che l’aitante modello di cui sopra avrebbe avuto il permesso di stare seduto su antichità originali. Non ci vuole una laurea in egittologia per accorgersi che si tratta di copie. 

Il  presunto trono di Tutankhamon. Si noti anche in questo caso lo sforzo creativo dello stilista
Ho letto e riletto l’articolo della Caferri e non sono riuscito a capire davvero dove sia la notizia. E lo scandalo invocato dal titolo (“Mr. Indiana Jones. Lo scandalo travolge il re delle mummie”. La creatività qui tocca i massimi livelli)? Ma dove è? E’ scandaloso che Zahi abbia accettato che una linea di moda porti il suo nome? Non mi pare. Se poi il ricavato, come asseriscono il diretto interessato e la Art Zulu, andasse davvero al 57357 Children’s Cancer Hospital al Cairo (sul sito dell’ospedale di questa donazione non vi è però traccia alcuna) tutta la faccenda avrebbe anche un lato assai meritorio. 
Tra i bacchettoni che purtroppo popolano le nostre discipline il semplice accostamento di Zahi alla moda potrebbe risultare già scandaloso. A loro e ai miei detrattori più gelosi dedico perciò la fotografia sottostante. L’ha scattata Barry Lategan nel 1997 quando ho collaborato a un servizio di Aldo Coppola per Vogue. Alla mia destra Adia Koulibaly e a sinistra Manon von Gerkan. Noi sì che sedevamo su vere antichità! La colonna alle nostre spalle è una di quelle del Tempio di Medinet Habu. 

No, non indosso un capo Zahi Hawass. In Egitto vesto  normalmente così
L’episodio invocato dalla Caferri, tutto sommato, mi sembra però la minore delle preoccupazioni che si trova ad affrontare Zahi in questo periodo. Circola sul web la notizia che sarebbe stato condannato a un anno di carcere duro e a una multa di 500 o 1000 Lire egiziane a causa di un appezzamento di terreno. Dovrebbe anche rispondere di illecito in bando di gara per quello che riguarda l’attribuzione delle licenze per i book-shop nei musei egizi. 
Proprio mentre scrivevo questo paragrafo è comparso un aggiornamento sul sito di Zahi. La corte ha dato il non luogo a procedere per il secondo procedimento e Zahi rimarrà ministro. Non vi è invece notizia per quello che riguarda la faccenda dell’appezzamento di terra. Boh? 

Buone notizie sul fronte del recupero della antichità trafugate dal Museo Egizio del Cairo. Ne sono state ritrovate altre non più di qualche giorno fa. Si tratta delle trombe, del ventaglio e della statua dorata sull’imbarcazione di papiro di Tutanakhamon e di un ushabty di Yuya. Sono state recuperate in una borsa all’interno di una stazione della metro cairota. Il modo di ritrovamento è molto simile a quello delle antichità recuperate in precedenza e appare abbastanza anomalo. Non ci sono però prove che inducano a ritenere che le cose non siano andate così. 

La prossima volta, spero a breve, tornerò a parlarvi di cose di cosa (ops… Volevo scrivere “casa”. Lapsus freudiano) nostra. Sarà una puntata didattica da non perdere: spiegherò come scrivere una lettera anonima firmata. A presto.

martedì 12 aprile 2011

INTERMEZZO. ITALIOTI 2: AIRPORT 2

Sono stato a lungo senza scrivere. Negli Stati Uniti è stato bello ma un po’ impegnativo. Sono volato a Los Angeles passando per Atlanta. Ho tenuto conferenze su Iside al Bowers Museum di Orange County, in una lussuosa casa privata di Los Angeles e all’Università di Berkley. Sono tornato a Los Angeles e ho parlato della Tomba di Harwa all’UCLA. Da lì sono volato a Chicago dove, grazie a un amico, ho trascorso giorni da sogno in una suite dell’Albergo “The Drake”. In questa città sono intervenuto all’incontro annuale dell’ARCE (American Research Center in Egypt) con una conferenza su una stele di Ramesse III a Deir el-Medina. Ho concluso tornando a parlare di Harwa nel teatro dell’Oriental Insitute. Mi sono rigenerato. Sono tornato a credere in me e nelle mie capacità oratorie. Dopo un anno di quasi totale lontananza dal pubblico.

Veduta di Chicago e del Lago Michigan dall'albergo The Drake
In Italia perdo i concorsi, altrove nel mondo raccolgo consensi. Al Bowers c’erano più di trecento persone ad ascoltarmi (gioco facile quando si parla di Iside); all’incontro dell’ARCE, nonostante il mio intervento fosse tra gli ultimi dell’ultima giornata, la sala era talmente colma che la gente era seduta per terra e non si riusciva più a entrare. Va bene. Sono un po’ presuntuoso. Chiedo venia. Ogni tanto però ci vuole. 
Poi ho fatto ritorno. Sono partito dall’O’Hare di Chicago e sono ripassato da Atlanta, ovverosia due tra gli aeroporti più frequentati del mondo (il terzo è Pechino). Sono atterrato a Fiumicino e mi sono trovato nuovamente immerso nella realtà italiana. Perché tutto appare così trasandato già dal primo momento? Guardate che questa impressione non la si ha soltanto venendo dagli Stati Uniti. E’ lo stesso anche se si arriva dall’aeroporto del Cairo. 
L’aereo è arrivato leggermente in ritardo ma, incredibile a dirsi, la mia valigia era già sul nastro (e per giunta proprio su quello che compariva sugli schermi!) quando sono arrivato a recuperarla. Quasi un sogno. 
Me la potevo cavare così bene a Fiumicino? Ma figurarsi… Secondo me quell’aeroporto mi odia. Arrivato alla stazione ferroviaria mi sono trovato davanti a banchine invase da decine e decine di viaggiatori e nessun treno in vista. I cartelloni degli orari sembravano documentare una catastrofe naturale. Primo treno: ritardo di quaranta minuti; secondo treno: ritardo di cinquanta minuti; terzo treno: soppresso; quarto treno: soppresso; quinto treno: ritardo di venti muniti; sesto treno: soppresso. Davanti agli occhi mi sono balenate varie ipotesi di disastro. Le ho però scartate subito. Negli occhi degli altri passeggeri c’era soltanto la solita annoiata espressione di rassegnazione (italiani) e lo sperduto terrore dell’incognito che si stavano apprestando ad affrontare (stranieri). Cosa era successo? Ho chiesto. Ho interpellato qualcuno. Nessuno lo sapeva. 
Mi è presa una vera e propria smania di tornare a casa prima possibile. Mi hanno proposto uno shuttle. Ho accettato e mi sono così ritrovato seduto sul sedile di un minibus compresso tra il vetro e un signore indiano o singalese. Due sardine godono di maggiore spazio vitale in una scatoletta. Ho rimpianto i taxi della Riva ovest di Luxor. Almeno lì si può viaggiare attaccati all’esterno. Non ce l’ho fatta ad arrivare a Termini. Ho chiesto all’autista di scaricarmi, le membra ormai preda di eserciti di formiche, alla fermata Metro di San Paolo. L’indiano o singalese mi ha guardato riconoscente. Un altro signore ha seguito il mio esempio. I vagoni della metropolitana erano ricoperti di così tanta vernice che ho capito dove fossero le porte soltanto quando si sono aperte. Sono riemerso alla fermata Policlinico. Duecento metri da casa. Una folata di vento sollevata da un’autombulanza a sirene spiegate ha creato un mulinello di cartacce. Tra alcuni oleandri facevano capolino alcuni sacchi di immondizia. 
Amara constatazione finale. Per andare all’Oriental Institute di Chicago si passa attraverso le propaggini di un quartiere abitato essenzialmente da afro-americani. Viene considerano un’area altamente degradata. Vi assicuro che l’arredo urbano è in migliore condizioni di quello romano e le strade e marciapiedi sono molto ma molto più puliti. 

Sto procrastinando il proseguimento del mio racconto principale. Un po’ perché ci sono tante cose da raccontare (non lo avrei mai detto), un po’ perché sto per arrivare alla parte più dolorosa. La mia vita stava per subire un durissimo colpo proprio un anno fa. Cosa c’entra con il concorso? Chi avrà la pazienza di seguirmi lo scoprirà presto...

mercoledì 30 marzo 2011

BACK TO ZAHI AGAIN

Scrivo questo intervento da Los Angeles. Sarà per questo motivo che il titolo mi è venuto spontaneamente in inglese? Chissà…
Stanotte (ci sono nove ore di differenza dall’Egitto e dall’Italia) sono stato svegliato da un SMS di Isabella che mi comunicava la notizia che Zahi è nuovamente Ministro delle Antichità. Ne ho avuto conferma sul link di Ahram On line. Il sondaggio fatto su questo blog è così risultato profetico. Non ci voleva molto. Diciamocelo francamente. Ora come ora Zahi è l’unica persona che può reggere il peso di una situazione complicata come quella odierna.
Si può dire quello che si vuole su Zahi, ma nessuno ha la sua energia e il suo carisma. Purtroppo, da quando ha dato le dimissioni, ne ho sentite veramente tante. Molte critiche sono arrivate proprio da persone che fino al giorno prima lo avevano osannato e avevano ostentato con sussiego e superiorità una conoscenza personale. Che schifo e che pena! Ma perché certa gente non se ne sta zitta? Sono sicuro che ora quelle stesse persone torneranno a osannare Zahi e a dire “L’avevo detto che sarebbe tornato. Meno male”.
Intanto Zahi ha rilasciato un comunicato sulla situazione delle antichità nell’area archeologica di Dahshur e dintorni. I timori da me espressi nel mio precedente intervento sono purtroppo risultati più che fondati. Nel corso della visita è stato possibile accertare che almeno un cimitero e una moschea sono stati costruiti su monumenti più antichi. Situazioni simili sono segnalate anche a Lisht, Saqqara, Abu sir e Giza.
Alcune antichità trafugate dal Museo Egizio del Cairo sono state recuperate. Secondo quanto racconta lo stesso Zahi i ladri hanno tentato di venderle a Khan el-Khalili. E dove sennò? Le hanno proposte al proprietario di un negozio che ha offerto Leg 1500,00. Soltanto quando i ladri hanno sostenuto che valevano molto di più perché venivano dal Museo del Cairo il commerciante ha chiamato la polizia. Si tratta di alcuni reperti trafugati dalla Stanza P 19, dove si trovano le statue di divinità pubblicate da Naville. Mi sorge spontaneo e subitaneo un pensiero. Se i ladri avessero accettato l’offerta di Leg 1500,00, cosa avrebbe fatto il commerciante?
Zahi è fiducioso di riuscire a recuperare tutto quello che è stato trafugato. Mancano ancora all’appello trentasette oggetti. Alcuni del tesoro di Tutankhamon. Interessante notare come tutte queste informazioni Zahi le ha date quando non era ancora stato (ri)nominato ministro. Evidentemente non ha mai cessato di sentirsi tale.
Concludo con una notizia che il Corriere.it ha appena battuto e che mi ha allargato il cuore. Alcuni docenti della Statale di Milano e della Bocconi sono indagati per avere manipolato concorsi universitari. Che sia la volta buona che cominciano a fare piazza pulita di certa gente? Come diceva il buon vecchio Bracardi: “In galera… In galera!”. Ma stavolta davvero. Nessuno escluso.

venerdì 25 marzo 2011

THE GURNAUY JOB

Sono passati dieci giorni dall’ultima volta che ho scritto in questo blog. Chiedo scusa. E’ che mi sono preso una piccola vacanza da tutto e da tutti. Sono andato con mia moglie a Madrid per un fine settimana. L’egittologia è stata limitata alla passeggiata finale per il centro città. Siamo infatti partiti dal Tempio di Debod, donato alla Spagna per l’aiuto profuso nel salvataggio dei templi in Nubia e ricostruito in un giardino a non molta distante dal Palazzo reale.

Il Tempio di Debod al tramonto
Riprendo questo blog da Los Angeles dove sono arrivato ieri. Sono atterrato all’aeroporto di Atlanta e le prime pagine dei giornali erano piene delle fotografie di Elizabeth Taylor, morta in questi giorni. Furoreggiavano quelle in cui vestiva gli abiti Cleopatra, nell’omonimo film di Mankiewicz. 

Liz Taylor - Cleopatra in una scena dell'omonimo film di Mankiewicz

Oltre i due Oscar che ha vinto, Elizabeth Taylor avrebbe forse meritato anche una laurea in egittologia honoris causa. Il modo in cui ha interpretato Cleopatra ha condizionato la percezione corrente che abbiamo di questo personaggio storico in modo tale da condizionare anche la descrizione che ne viene data in molti studi a lei dedicati. Sarebbe interessante una ricerca psico-sociologica sull’influenza che ha avuto Hollywood sulle materie storico-archeologiche. A mio avviso ne risulterebbero un mucchio di sorprese. 
Non posso non pensare ai giochi del destino. Mi trovo negli Stati Uniti invitato a tenere alcune conferenze. Qui a Los Angeles me ne hanno chiesta una su Iside e, tra le diapositive che avevo scelto ce n’è appunto una di Liz Taylor con un prezioso basileion sulla testa. 

Il sondaggio su chi doveva essere il nuovo ministro delle antichità egiziane si è concluso. Senza grandi sorprese ha stravinto Zahi Hawass con il doppio dei voti rispetto a Sabri Abd El-Aziz. Ritengo che sul risultato abbia pesato soprattutto la notorietà di cui entrambi godono qui in Italia. 

Al di là di questo, la situazione in Egitto rimane abbastanza grave. Manca ancora un vero controllo di polizia, soprattutto per quello che riguarda i siti archeologici. E non è soltanto una questione di tombaroli. Mi sono giunte voci che non pochi egiziani hanno approfittato della situazione per espandere campi e costruire case abusive su terreni di proprietà delle antichità. 
Grazie a Isabella ho notizie di prima mano sul furto perpetrato ai danni degli scavi attualmente in corso tra le rovine del tempio funerario di Amenofi III sulla riva ovest di Luxor. Invece delle Austin Mini Cooper rese famose dal celeberrimo film “The Italian Job” (chi on si ricorda l’inseguimento per tutta Torino nella versione del 1969?), qui è stato utilizzato uno dei minibus che servono da taxi per il trasporto dei Gurnauy (gli abitanti di Gurna). I ladri dovevano essere una dozzina. Di più, in un minibus gurnauy non ci si sta. Tra i ladri c’era anche un “doktur” che, in questo caso, era qualcuno che si era procurato il cloroformio con il quale sono stati addormentati i guardiani. Un altro sembra sia stato sopraffatto mentre portava il tè ai colleghi (anche questo è molto “gurnauy”, pure troppo…). I ladri hanno portato via la parte superiore di una statua di Sekhmet e il viso di una statua reale che, insieme ad altri preziosi reperti, conservati nel magazzino che la missione diretta da Hourig Sourouzian ha fatto costruire direttamente sul sito. Già l’indomani i responsabili del furto erano stati individuati e riacciuffati. I nomi di tre sono noti. A quanto afferma la stampa sono stati processati per direttissima e condannati a quindici anni di carcere. 
Non è il primo tentativo di rubare una statua di Sekhmet. Pochi anni or sono alcuni ladri avevano ne prelevato una dal Tempio di Mut a Karnak e, dopo averla caricata su un pick-up, tentavano di farla uscire illegalmente dal paese. Anche in quell’occasione però erano stati catturati. E’ forse meglio non toccare le effigi di Sekhmet che, non dimentichiamolo, era colei che Ra aveva mandato a vendicarsi degli uomini.

Ho molte cose da raccontare. Spero di riuscirci tra una conferenza e l'altra... 

giovedì 17 marzo 2011

GIOCARSI UN CONCORSO A RISATE


Riassunto delle puntate precedenti. Tiradritti prepara i documenti per partecipare al concorso di ricercatore in Egittologia a La Sapienza Università di Roma sapendo di averlo già perso. Loretta Del Francia Barocas viene nominata membro interno. Le possibilità di vittoria per Tiradritti diminuiscono ancora. Ma come è possibile, se erano già a zero? 

Conosco Loretta Del Francia Barocas da quando ero studente all’Università di Roma “La Sapienza” (allora si chiamava così). Era direttrice delle biblioteca di orientalistica che funzionava molto bene. Non ero molto in confidenza con Loretta. Mi avevano detto che si era laureata in una materia che aveva a che fare con l’archeologia dell’India o delle regioni limitrofe e che era anche moglie di Claudio Barocas, egittologo prematuramente scomparso. Barocas insegnava a Napoli dove ha lasciato un vuoto egittologico a tutt’oggi incolmabile. Il suo “L’antico Egitto” è stata una della fonti di ispirazione nei miei primi anni universitari e ha contribuito non poco alla mia formazione metodologica. 
Negli anni successivi alla laurea sono stato molto lontano da Roma e, in quell’intervallo di tempo, Loretta è diventata professore associato e ha cominciato a insegnare copto. Qualcuno potrebbe stupirsi che una laureata in una materia che riguarda l’India o giù di lì possa poi assumere una docenza sull’Egitto cristiano. In effetti rimasi anch’io un po’ meravigliato quando lo seppi. 
Qualsiasi possibilità di un sostegno da parte di Loretta me lo sono giocato molti anni fa. Quell’episodio è ancora indelebile nella mia memoria e credo proprio che lo sia anche nella sua. 
Era il 2000 ed eravamo al Cairo per l’Ottavo Congresso Internazionale di Egittologia che aveva svolgimento al Mena House Oberoy. In una pausa raggiungo il bar della piscina per prendere qualcosa da bere. Lì c’è Loretta con due o tre sue allieve che, dopo poco, se ne vanno. Approfittando del fatto che siamo rimasti soli Loretta mi mette a parte di una grande notizia: è riuscita a ottenere l’affidamento della cattedra di egittologia a Viterbo. Mi dice, cito testualmente “Gli studenti potranno finalmente assistere a lezioni dove si insegnerà la vera archeologia egizia visto che Roccati (che allora insegnava a Roma, NdA) non ne capisce nulla”. Non so come è stato, ma mi è venuto spontaneo chiedere “E chi la insegnerebbe?”. Loretta, un po’ interdetta, mi risponde “Beh… Io.” 
E’ vero. Ho mancato. Non so cosa mi è preso, ma non sono proprio riuscito a trattenermi. Ho cominciato a ridere senza potermi più frenare. Loretta mi ha gettato un ultimo sguardo contrariato e si è allontanata. Avrei dovuto trattenermi. Lo so, ma non c’è l’ho proprio fatta. Ancora oggi, a distanza di undici anni, sorrido a ripensare a quell’episodio. Quando lo racconto rido ancora senza riuscire a frenarmi. 
Cosa ci trovo di tanto divertente? Non è poi così difficile da capire. Come può una persona laureata sull’India e affini, dopo avere passato anni alla direzione di una biblioteca e che ha un insegnamento di copto, essere in grado di insegnare la “vera archeologia egizia”? Da allora non ho più avuto molti contatti con Loretta Del Francia Barocas. 
Negli anni successivi ho incontrato alcune sue studentesse e ho avuto modo di parlarci. Non mi sembrava che avessero una buona preparazione in archeologia egizia. Sarà forse dipeso dal fatto che non erano molto in gamba. Tutto può essere…

martedì 15 marzo 2011

A(NTIQUITIES) FACTOR

Situazione molto fluida in Egitto in questi giorni. Non ho fatto neanche in tempo a scrivere che il prossimo Ministro delle antichità poteva essere il Professor Alaa Ed-Din Abd El-Mohsen Shaheen. La sua nomina, che sembrava ormai sicura, ha scatenato un vero e proprio putiferio tra gli archeologi egiziani. Niente lampada di Aladino, niente magia per rimettere in sesto la situazione dei monumenti egiziani.
E ora? E ora si apre uno scenario in cui sono in lizza una serie di contendenti. Un blog inglese riportava sette nomi. In un caso però c’era un punto interrogativo. I sei nomi restanti corrispondono a quelli che più insistentemente si sono sentiti circolare in questi ultimi giorni. Sono personaggi di spicco nell’ambito dei monumenti egiziani. Ne do la lista, in rigoroso ordine alfabetico:

Abd El-Halim Nour Eddin. Insegna all’Università di Alessandria e ha già ricoperto la carica di Direttore generale del Consiglio Supremo della Antichità alla metà degli anni Novanta del secolo scorso.






Alaa Ed-Din Abd El-Mohsen Shaheen. Rimando all’intervento di ieri.








Mohammed Abdel Maksoud. E’ Capo del Dipartimento centrale per le antichità del Basso Egitto. Si è distinto negli ultimi anni per un’intensa attività di ricerca e di scavo nei siti del Delta.






Mamduh Eldamaty. Insegna all’Università di Ain Shams. Vi è tornato dopo avere ricoperto per alcuni anni la carica di Direttore del Museo Egizio del Cairo.







Sabri Abdel Aziz. Responsabile generale del Dipartimento dei monumenti faraonici nel Consiglio Superiore delle Antichità. Proviene dalla direzione dell’area archeologica di Tebe Ovest e delle antichità dell’Alto Egitto.






Zahi Hawass. Ha bisogno di presentazioni?










La situazione è confusa. Quanto tempo ci vorrà prima che venga scelto qualcuno a ricoprire la carica di Ministro delle Antichità? Nel frattempo propongo una sorta di breve reality dove potrete decidere chi, a vostro giudizio, occuperà questa carica. Il sondaggio lo trovate qui accanto dura una settimana e, non vi preoccupate, è anonimo. 

Da domani torno a parlare dei fatti di casa nostra.


Aggiornamento del 25 marzo 2011. Il vincitore è risultato Zahi Hawass, con quasi il doppio dei voti rispetto a  Sabri Abd El-Aziz. 

lunedì 14 marzo 2011

ALADINO E L'ALIENO DELLA LAMPADA

Questo fine settimana si è diffusa la notizia che il successore di Zahi Hawass dovrebbe essere il Professor Alaa Ed-Din Abd El-Mohsen Shaheen, fino a poco tempo fa preside della Facoltà di Archeologia all’Università del Cairo. IO ne sono venuto a conoscenza tramite un SMS di Isabella. 
Alcuni siti internet, primo tra tutti quello dell’autorevole Al-Ahram, il quotidiano a maggiore diffusione in Egitto, danno la nomina come certa, ma non ancora avvenuta. Altri invece la confermerebbero, aggiungendo che Shaheen deve soltanto prestare giuramento prima di assumere ufficialmente la carica. Il sito di Al-Shuruq el-gedid arriva persino a pubblicare alcune sue dichiarazioni come ministro. Shaheen afferma che non prenderà provvedimenti nei confronti del Direttore del Museo Egizio del Cairo fino a quando l’inchiesta non sarà completata e che si occuperà di trovare una rapida soluzione al problema dei numerosi laureati in archeologia in attesa di lavoro. Il sito di Al-Dostor Al-Asly definisce invece uno “shock” la nomina di Shaheen a Ministro delle Antichità. Ricorda che è stato uno stretto collaboratore di Faruq Hosni, ministro della cultura per un ventennio con Mubarak. 

Alaa Ed-Din Shaheen con Zahi Hawass (Fotografia da sito di Alaa Ed-Din Shaheen)
Viene anche menzionata la partecipazione di Shaheen a una missione polacca che aveva qualcosa a che fare con il mondo ebraico. Questa rivelazione, che nell’Egitto contemporaneo è ancora in grado di suscitare un quasi unanime sdegno, aveva costretto Shaheen alle dimissioni da Preside della Facoltà di Archeologia dell’Università del Cairo. 
Nonostante la sua notorietà in Egitto, Shaheen non è molto conosciuto all’estero, soprattutto perché le sue pubblicazioni sono prevalentemente in lingua araba. La maggior parte riguardano i rapporti tra l’Egitto e il Vicino Oriente. 

Alaa Ed-Din Shaheen in posa davanti a un blindato (Fonte News Maktoob.com)
Il nome di Shaheen è improvvisamente balzato agli onori di internet alla fine di novembre scorso. Secondo alcuni siti, nel corso di una sua conferenza, un signore polacco di nome Marek Novak gli avrebbe domandato se riteneva possibile che le piramidi fossero opera degli alieni. Shaheen avrebbe risposto che non poteva né confermare né smentire, ma che al loro interno c’era sicuramente qualcosa che non era di questo mondo. Interpellato l’interessato si era affrettato a smentire e la notizia si era sgonfiata nel giro di una decina di giorni. Ne rimane però traccia in decine di siti relativi agli UFO e argomenti simili di tutto il mondo. 
Cosa dire? Non posso che augurare al Professor Shaheen buona fortuna. Ne ha tantissimo bisogno. Le notizie che provengono dall’Egitto sulle antichità sono sconfortanti. Non si tratta soltanto di saccheggi. Approfittando dell’allentamento del controllo da parte della polizia e dell’esercito si registrano casi in cui comuni cittadini ne approfittano per innalzare case o allargare i propri campi a scapito dei siti archeologici. In un paese come l’Egitto dove lo spazio vivibile è limitato dal deserto, l’appropriazione di ogni metro quadrato disponibile è un istinto quasi irrefrenabile. 
Ci vorrà uno sforzo sovrumano per riportare tutto alla normalità. Questo mi fa pensare che il Professor Shaheen sia stato nominato Ministro delle antichità per via del suon nome. Alaa Ed-Din in italiano è Aladino. Nell’averlo scelto c’è forse la speranza che sfreghi la sua lampada, tiri fuori il genio (in questo caso meglio dire “l’alieno”) in essa racchiuso e rimetta tutto a posto in men che non si dica. Speriamo davvero sia così.

sabato 12 marzo 2011

SIN(H)OPOLI L'EGIZIANO

Abbandoniamo per un momento le tristezze concorsuali e torniamo a occuparci di egittologia. In uno dei miei interventi precedenti avevo detto che ero andato in Svizzera. La ragione era l’inaugurazione di una mostra che ho realizzato per la catena di centri commerciali Manor
Quando me lo hanno chiesto ho arricciato un po’ il naso. Dopo neanche un minuto avevo però cambiato idea. Mi è sembrata una buona occasione per fare conoscere un po’ d’Egitto a un mucchio di gente a cui non verrebbe forse neanche in mente di entrare in un museo. Una volta avute tutte le assicurazioni sulla sicurezza dei reperti, che male c’è? Perché la gente deve sempre andare dalla cultura e mai la cultura dalla gente? 
La cosa seccante è che, ogni volta che mi chiedono una mostra, quasi mi impongono di inserirci un sarcofago. Possibilmente corredato di mummia. In questo caso, non ho dovuto faticare molto per dissuadere gli organizzatori a proposito della seconda richiesta. Mi è bastato dire che le vendite di aringhe e salumi affumicati sarebbero probabilmente scese vertiginosamente. Le mie vere motivazioni sono un po’ più morali, ma se le esprimo, rischio di rimanere inascoltato. 
Ho pensato che sarebbe stata una bellissima idea esporre l’integralità, o quasi, della collezione egizia che il compianto maestro Giuseppe Sinopoli era riuscito a raccogliere negli ultimi anni della sua vita. I reperti che era riuscito ad acquistare abbracciano tutte le epoche più importanti della storia egizia e consentono di dare un’idea generale della civiltà faraonica. Requisito ritenuto necessario per la realizzazione della mostra dagli organizzatori della stessa. 
Avevo conosciuto Sinopoli nel 1994 e, poco a poco, avevo cominciato a frequentarlo. In verità c’eravamo incontrati anche prima. A Montepulciano, in occasione del Cantiere Internazionale d’Arte del 1979 dove era stato invitato a dirigere. Come poteva però ricordarsi  del ragazzo che, quasi ogni mattina, gli trasportava il pianoforte da una sala prove all’altra insieme agli operai del comune? Lui non poteva ricordarsene, io sì. Più che altro mi ricordavo della pesantezza del suo pianoforte. Non so a chi possa interessare, però un’arpa è ancora più difficile da spostare. Provare per credere. 
Giuseppe e sua moglie Silvia vennero anche a trovarmi a Luxor nel 1997. Visitarono la Tomba di Harwa ancora ingombra di detriti. 

Giuseppe Sinopoli, la moglie Silvia e l'autore di questo blog nella Tomba di Harwa, 1997
Fu in quella occasione che Giuseppe mi parlò di un progetto che gli stava a cuore. Voleva dirigere una composizione sul concetto egiziano dell’eternità legata al perpetuo risorgere del sole. Era un’idea che lo affascinava molto e ne parlammo varie volte negli anni a seguire. Tornammo a discuterne nel marzo del 2001, proprio prima che partissi per la campagna primaverile. Dovevo informarmi quanto costasse l’affitto del tempio di Medinet Habu. Era un monumento che Giuseppe amava ed era lì che avrebbe voluto organizzare il concerto. Avevo appena preso appuntamento con Sabri Abd El-Aziz, allora direttore delle antichità di Tebe Ovest, per presentargli il progetto quando fui raggiunto dalla dolorosa notizia dell’improvvisa morte di Giuseppe. 
Negli anni successivi ho continuato a frequentare Silvia e i figli Giovanni e Marco. Li ho messi a parte della mia idea e anche loro, dopo un primo momento di titubanza, hanno accettato di prestare quasi l’intera collezione per la mostra in Svizzera.
Il desiderio degli organizzatori di esporre un sarcofago mi ha dato l’idea di chiedere a Maria Cristina Guidotti, direttrice del Museo Egizio di Firenze, un nucleo di reperti che ricostruissero un ipotetico corredo funerario. Così avrei potuto anche documentare le credenze egizie sull’aldilà che tanto avevano affascinato Giuseppe. Il patto era che gli organizzatori coprissero le spese per il restauro del sarcofago. Hanno accettato. 

Il viso del sarcofago del Museo Egizio di Firenze esposto al Manor di Monthey
La mostra ha aperto il 28 febbraio scorso nel centro commerciale di Monthey nella Svizzera Romanda. Il titolo è “L’Egyptien”, a voler indicare sia l’uomo egizio, ma anche la passione di Sinopoli per la civiltà faraonica che lo rendeva un po’ “egiziano”. L’evento toccherà poi le sedi di Sierre, Chavannes, Marin e Vevey e si concluderà a luglio. Chi fosse interessato alla piccola guida quadrilingue me lo faccia sapere. Vedrò di procurarmene alcune copie.

giovedì 10 marzo 2011

COPTI E MANGIATI


Torno a parlare del concorso che ho perso. 

Riassunto delle puntate precedenti. Dopo essersi reso conto dell’atrocità di dovere presentarsi a un concorso che sa di avere già perso, Francesco Tiradritti si mette a preparare i documenti necessari. Lo abbiamo lasciato che stava andando alla posta per spedirli… 

Carico il pacco con i miei titoli sulla 500 e mi dirigo verso la posta di Chianciano. E’ una bella giornata di fine dicembre e il sole dissipa i cattivi pensieri. Alla posta c’è fila. Sono arrivato tropo tardi e mi trovo a dovere aspettare la solita segretaria di qualche commercialista o avvocato che spedisce più di venti raccomandate. Mi faccio dare il modulo per la raccomandata A/R e lo compilo nell’attesa del mio turno. Tocca a me. Deposito il pacco e chiedo che di spedirlo per raccomandata. L’impiegata mi fa notare che supera le dimensioni consentite. E allora? Mi consiglia di fare un pacco celere con ricevuta di ritorno. Le chiedo se ha la stessa validità legale di una raccomandata. Mi dice che non ne è sicura, ma che non ho altra scelta. Dovrei togliere il libro sul Museo Egizio del Cairo. Ma perché? Opto per il Pacco celere 3 con ricevuta di ritorno. Esco dalla posta con la convinzione di avere commesso con un errore. 

Inizia il 2011. Il 2 nasce Leonida. La felicità è al massimo. Il concorso è dimenticato. Le mie angosce affogano nel mare di gioia che mi procura stringere al petto quel minuscolo essere che è mio figlio. Non avrei mai pensato che fosse così meraviglioso cambiare pannolini o fare un bagnetto. 
In quei primi brevi mesi di felicità assoluta mi riporta alla realtà del concorso la notizia che è stato selezionato il commissario interno. Si tratta di Loretta del Francia. Si dice che abbia avuto la meglio su Tito Orlandi. Entrambi si occupano di coptologia. La Del Francia è più storica dell’arte, Orlandi più filologo. 

Qui mi fermo per una considerazione. Perché in Italia, l’Egittologia deve essere legata alla Civiltà copta? Non mi pare di ricordare che vi siano esempi simili nel mondo. Invece da noi la dicitura dell’insegnamento è proprio “Egittologia e civiltà copta (L-OR/02)”. L’accorpamento di egittologia e civiltà copta, trasposto qui in Italia, significherebbe creare un insegnamento di “Romanistica e civiltà italiana”. E’ un esempio per assurdo, ma mica poi tanto. 
Proprio Orlandi, che è stato mio professore, si vantava di avere imparato il copto senza avere mai studiato né il geroglifico né tanto meno la lingua egizia. A lezione chiedeva a noi studenti con un po’ più di esperienza se eravamo in grado di ricostruire l’etimologia di parole o la derivazione delle forme verbali copte che stavamo studiando. Il più delle volte non eravamo in grado di farlo. Ci mancava l’esperienza. Il suo Elementi di grammatica copto-saidica (Roma 1983) dimostra chiaramente questa sua visione. Se vi si cerca la parola “egiziano” e i suoi derivati, si trovano soltanto dodici occorrenze. E si concentrano quasi tutte nella brevissima introduzione. Della reale importanza del copto per lo studio delle fasi precedenti della lingua egizia me ne sono reso conto soltanto alcuni anni più tardi, frequentando le lezioni di Pascal Vernus all’Ecole Pratique des Hautes Etudes a Parigi. Ma era un po’ troppo tardi e devo confessare di essere abbastanza scarso in coptologia. Nonostante i due Trenta e lode che ho preso proprio con Orlandi. 

Stoffa copta con Giasone, Medea e il Vello d'oro (Paris, Musèe National du Moyen Age - Thermes de Cluny) 
Non è però Orlandi a essere stato designato come membro interno. E’ Loretta Del Francia. La conosco da moltissimo tempo. Nonostante questo so che la sua nomina aumenta la mia certezza di perdere il concorso. Perché?