lunedì 18 aprile 2011

ZAHI HAWASS: FASHION OR TUTANKHAMON VICTIM?

Mi piacerebbe proseguire con il racconto sul concorso che ho perso, ma c’è sempre qualcosa che mi spinge a rimandare. L’occasione offerta oggi da un articolo di Francesca Caferri su Repubblica (18 aprile 2011, p. 47) è, per esempio, troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. 

Nonostante lo abbia difeso e lo difenda, non sono un vero fan di Zahi Hawass. Malgrado abbia apprezzato molte delle cose che ha fatto per migliorare il Consiglio Superiore delle Antichità egiziano e sia convinto che sia la persona che può riportare un po’ d’ordine nel caos che regna attualmente tra le antichità egizie, non condivido molte sue scelte. Il suo modo di proporre i monumenti della Valle del Nilo e l’egittologia ai media mondiali, per esempio, non mi trova per nulla d’accordo. Certe volte, ma soltanto certe volte, penso che abbia ragione lui. Lui fa i soldi e io no. Poi però mi dico che a me va bene anche così. 
Se però continuano a maltrattare così Zahi mi costringeranno a diventare un suo fan sfegatato e ad aprire un gruppo su Facebook (oltre a quello in cui si chiede di salvarlo da Roberto Giacobbo) per proteggerlo da giornalisti come la Caferri. Di quest’ultima avevo letto anche altri suoi interventi sull’Egitto e il Medio Oriente e non mi era sembrata affatto una sprovveduta. 
Vediamo cosa ha scritto. Con un notevole sforzo di originalità il suo articolo odierno comincia così: “La maledizione di Tutankhamon colpisce ancora …”. E già a questo punto ho pensato seriamente che non valeva la pena di continuare la lettura. Ero però intrigato dalle fotografie e commento dell'articolo.
La Caferri passa poi a raccontare di come Zahi, per promuovere una linea di vestiti che porta il suo nome, realizzata dalla casa di moda americana Art Zulu, avrebbe permesso al fotografo James Weber di compiere nottetempo riprese tra i tesori del giovane sovrano. Peccato  si veda benissimo che l’aitante modello è in posa davanti a vetrine e oggetti esposti in “Tutankhamon and the Golden Age of the Pharaohs”. Quanto la sessione fotografica è stata fatta la mostra itinerante era a New York. Proprio in questi giorni la stanno trasferendo a Melbourne. 

Un capo della linea Zahi Hawass (si noti anche qui l'originalità). Sullo sfondo il sarcofago dorato di Tuya

L’articolo della Caferri continua con altre amenità di vario genere tutte un po’ fazioselle, come per esempio, arrivare a insinuare che l’aitante modello di cui sopra avrebbe avuto il permesso di stare seduto su antichità originali. Non ci vuole una laurea in egittologia per accorgersi che si tratta di copie. 

Il  presunto trono di Tutankhamon. Si noti anche in questo caso lo sforzo creativo dello stilista
Ho letto e riletto l’articolo della Caferri e non sono riuscito a capire davvero dove sia la notizia. E lo scandalo invocato dal titolo (“Mr. Indiana Jones. Lo scandalo travolge il re delle mummie”. La creatività qui tocca i massimi livelli)? Ma dove è? E’ scandaloso che Zahi abbia accettato che una linea di moda porti il suo nome? Non mi pare. Se poi il ricavato, come asseriscono il diretto interessato e la Art Zulu, andasse davvero al 57357 Children’s Cancer Hospital al Cairo (sul sito dell’ospedale di questa donazione non vi è però traccia alcuna) tutta la faccenda avrebbe anche un lato assai meritorio. 
Tra i bacchettoni che purtroppo popolano le nostre discipline il semplice accostamento di Zahi alla moda potrebbe risultare già scandaloso. A loro e ai miei detrattori più gelosi dedico perciò la fotografia sottostante. L’ha scattata Barry Lategan nel 1997 quando ho collaborato a un servizio di Aldo Coppola per Vogue. Alla mia destra Adia Koulibaly e a sinistra Manon von Gerkan. Noi sì che sedevamo su vere antichità! La colonna alle nostre spalle è una di quelle del Tempio di Medinet Habu. 

No, non indosso un capo Zahi Hawass. In Egitto vesto  normalmente così
L’episodio invocato dalla Caferri, tutto sommato, mi sembra però la minore delle preoccupazioni che si trova ad affrontare Zahi in questo periodo. Circola sul web la notizia che sarebbe stato condannato a un anno di carcere duro e a una multa di 500 o 1000 Lire egiziane a causa di un appezzamento di terreno. Dovrebbe anche rispondere di illecito in bando di gara per quello che riguarda l’attribuzione delle licenze per i book-shop nei musei egizi. 
Proprio mentre scrivevo questo paragrafo è comparso un aggiornamento sul sito di Zahi. La corte ha dato il non luogo a procedere per il secondo procedimento e Zahi rimarrà ministro. Non vi è invece notizia per quello che riguarda la faccenda dell’appezzamento di terra. Boh? 

Buone notizie sul fronte del recupero della antichità trafugate dal Museo Egizio del Cairo. Ne sono state ritrovate altre non più di qualche giorno fa. Si tratta delle trombe, del ventaglio e della statua dorata sull’imbarcazione di papiro di Tutanakhamon e di un ushabty di Yuya. Sono state recuperate in una borsa all’interno di una stazione della metro cairota. Il modo di ritrovamento è molto simile a quello delle antichità recuperate in precedenza e appare abbastanza anomalo. Non ci sono però prove che inducano a ritenere che le cose non siano andate così. 

La prossima volta, spero a breve, tornerò a parlarvi di cose di cosa (ops… Volevo scrivere “casa”. Lapsus freudiano) nostra. Sarà una puntata didattica da non perdere: spiegherò come scrivere una lettera anonima firmata. A presto.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

credo che la caferri abbia preso spunto dalla blogger zeinobia http://egyptianchronicles.blogspot.com/ che, come tutti i giovani arrabbiati egiziani, se la piglia con hawass in quanto esponente dell'establishment mubarakiano (si dice così?). è la rabbia contro l'uso strumentale delle antichità, simbolo dell'ordine faraonico che solo il regime si vantava di saper mantenere. o noi o lo sfacelo, dicevano. per zahi ciò è persino tragicamente vero.
quanto alla faccenda in sé, non sarebbe troppo male se davvero i proventi andassero all'ospedale di cui parla zahi. c'è però un grosso ma, e riguarda le royalties generalmente dovute per l'uso commerciale di certe immagini. suppongo (o voglio credere) che chi ti ha immortalato con le modelle (facevi l'autoctono???) abbia pagato cari quegli scatti. ugualemnte avrebbe dovuto fare la zulu, indipendentemente dal fatto che le foto siano state scattate in america. ma dubito fortemente che abbia pagato alcunché. e non credo proprio che tutti i loro proventi vadano all'ospedale. forse la percentuale di hawass, forse. in ogni caso, avrebbero dovuto pagare e grazie a zahi non l'hanno fatto. ergo è scandaloso e basta. ciò ovviamente non giustifica la caferri...
cinzia

Anonimo ha detto...

ejem, ejem, ejem